Cava e Grotta del Drago: uno scrigno di meraviglie.
0Ancora una volta il Parco Cava-Grotta del Drago ha offerto ricche occasioni di studio e riflessione.
Stiamo parlando della particolare geomorfologia dell’area, che presenta tratti di notevole interesse. La zona in esame è la stessa di cui avevamo parlato in altra occasione, cioè quella ricadente nella parte più elevata che sovrasta la gola dell’ Urgu tintu e include le cosiddette Case Mangano.
Le antichissime vulcaniti che compongono l’anima del costone roccioso sono ricoperte da un cospicuo manto di calcare che ha subito una diagenesi differenziata: in alcuni strati la compattazione è avvenuta per via clastico-biochimica ; per via chimica in altri. Questo, come si può intuire, ha determinato un diverso grado di “friabilità” e solvibilità degli apparati esposti agli agenti erosivi , nonché una diversa risposta all’attività antropica.
Esaminando i pendii della valle si noterà come le pareti meno esposte, nel caso tipico dei numerosi ambienti ingrottati, mostrino una colorazione tendente al giallo/ocra, rispetto a quelle esterne, apparentemente ricoperte da una patina bianco-grigiastra.
Il blocco che ospita la Grotta del Drago ne è un esempio emblematico.
La sezione inferiore, quella dove si trovano le aperture principali, per intenderci, è in prevalenza composta dal calcare che, per comodità di sintesi e comprensione, chiameremmo “tufaceo”, tendente ai toni del miele e assai duttile alla lavorazione, quasi sabbioso al tatto. Quella superiore, invece, dove si trovano l’occhio e la tomba recentemente venuta alla luce, mostra un aspetto più “chimico”, con una colorazione tendente al bianco-grigio e una maggiore consistenza. E’ probabile però che un crollo abbia interessato le parti più esterne degli ingressi, evento comunque riscontrabile in quasi tutta la vallata (e della quale abbiamo accennato tempo fa), e che queste, quindi, non differissero di molto da quelle soprastanti.
Tornando al plateau in argomento, ci si rende conto di come il terreno si presenti quasi suddiviso in due tipologie morfologiche principali. Piattaforme che offrono un agevole camminamento, in cui le lastre calcaree sembrano levigate e livellate, si alternano ad altre assai più irregolari, molto corrugate e quasi martoriate da numerosissime incisioni variamente dimensionate. Evidentemente il deposito carbonatico ha reagito alle sollecitazioni esterne in modo differenziato. Per sua natura o per la diversa natura delle alterazioni subite.
Proprio nelle aree interessate dal corrugamento, si sono notate delle formazioni assai particolari e spettacolari.
Attraversando tramite un comodo sentiero, sistemato dai volontari del Parco, l’alveo prosciugato di un vecchio affluente del Cava si giunge in una zona assai particolare, ricca di una peculiare caratteristica geologica.
Qui alcune creste affioranti presentano delle impressionanti striature parallele che sembrano seguire una precisa direzione e pendenza (est-ovest). Tutt’intorno ma su un piano più livellato, altre serie delle stesse con profondità più modeste ma sempre direzionate allo stesso verso.
Potrebbe trattarsi senz’altro di semplici esiti dell’erosione meteorica, dovuta ad agenti atmosferici (e all’acqua piovana in primis), per cui potremmo ipotizzare di trovarci davanti ad uno dei cosiddetti “campi carreggiati”, cioè una spianata di calcare incisa da solchi che sembrano richiamare i segni lasciati dal passaggio di un carretto.
Tuttavia altre correnti di pensiero prendono in considerazione scenari diversi, non disdegnando di tirare in ballo l’azione di flussi glaciali o post-glaciali (allo stato assai improbabili) i quali, d’altro canto, aprirebbero una vasta serie di complessi interrogativi che, al momento, preferiamo tralasciare. Torniamo, quindi, al plateau di partenza.
Con una certa frequenza si riscontrano affioramenti interessati da erosione dovuta sia a cause naturali che artificiali. Alcune sporgenze, infatti, sviluppate prevalentemente per via orizzontale, mostrano differenti esiti di sfaldamento sui lati opposti apparendo, da una parte, appositamente tagliate o rastremate, alla stregua di grossolane canalizzazioni o ripartizioni di spazi. Ove non fossero comprovate cause naturali, è plausibile che queste siano da imputare ad antiche utilizzazioni idrauliche, essendo la zona tuttora ricca di acqua che filtra e scaturisce da alcune fessurazioni nelle rocce, come fa notare Alessio Gavini, anima irrefrenabile del comitato. Non per niente una parte prese il nome di “Canalicchio” e sino a tempi recenti è stata meta di tanti abitanti del paese per i propri rifornimenti del prezioso liquido.
Ancora più interessante si rende il discorso quando alcuni addetti ai lavori parlano di presenza marina nella zona, cosa che ci riferisce il solerte Pippo Li Volti, in epoche successive allo “spegnimento” e al susseguente innalzamento di quella che un tempo era un’attivissima dorsale vulcanica sottomarina, la quale, parecchi millenni fa, doveva addirittura presentarsi come un ricchissimo arcipelago d’isole coralline (le Maldive, al cospetto, sarebbero sembrate ben poca cosa!).
I numerosi fossili presenti nelle rocce, tra l’altro, fornirebbero preziosi indizi per giungere ad un’attendibile datazione del deposito calcareo!
Tuttavia per avere un quadro più esaustivo e formulare quindi ipotesi più concrete bisognerebbe disporre di una visione molto chiara delle emergenze rocciose, possibilmente ripulita dai sottili strati di terriccio che le ricoprono quasi interamente.
Ci sembra opportuno allora rivolgere già da queste pagine l’invito a rispondere numerosi alle prossime “chiamate generali” del comitato Parco Cava-Grotta del Drago, volte proprio alla valorizzazione e alla tutela di un territorio che si mostra, ad ogni visita, ricco di affascinanti sorprese. L’augurio è che, un giorno, esso possa diventare una sorta di laboratorio interdisciplinare permanente a cielo aperto, in grado di coadiuvare la scienza nel fare luce sui remoti e portentosi fenomeni che hanno modellato incessantemente l’area nei millenni, restituendoci l’attuale scrigno di meraviglie naturali e artificiali.
GINO CALLERI