Franco Trincale, il cantastorie torna nella sua Militello
0Dice d’aver perso il vecchio entusiasmo, il pathos dell’intrattenimento, lo stimolo del cantore. Confessa di non avere più i riferimenti culturali e politici che hanno ispirato, fino allo scorso decennio, le sue pubbliche “ballate” anticonformiste.
“Ormai ho abbandonato la chitarra e la piazza. A Milano mi dedico ad altro. Da un po’ di tempo ho scoperto il gusto per la poesia”: l’incontro con il cantastorie Franco Trincale, a Militello, al viale Regina Margherita, in un angolo verde dei giardini pubblici, avviene quasi per caso.
Dopo oltre sei anni d’assenza, il vecchio maestro è tornato nella sua città. Gli anni non hanno stravolto la sua lucidità, né il suo animo profondo, che adesso, però, riflette un po’ di tristezza: “Sono tornato nel mio paese d’origine per pensare. E per tornare a respirare, nella culla dei miei ricordi, l’aria di una volta. Ai fichidindia e alla mostarda ho dedicato le mie ultime due poesie. I sapori militellesi sono unici”.
Le prime domande del cronista lo provocano, ridestando il suo spirito artistico e la sua passione: “Un intero patrimonio di beni, con le mie diverse produzioni discografiche e cartacee, supporti video-musicali, cartelloni e strumenti, resta ancora inesplorato al centro fieristico Le Ciminiere di Catania. L’allestimento non ha un assetto razionale, né si presenta fruibile a visitatori e studenti”.
Trincale si riferisce al fondo delle sue collezioni artigianali che, dopo essere state rilevate dalla Provincia regionale, alla fine del 2005, non hanno ancora una valorizzazione compiuta: “Sono disponibile ad offrire alla pubblica amministrazione, senza ulteriori costi, la mia consulenza gratuita. I giovani devono conoscere l’arte antica del cantastorie, che nel Meridione appartiene al più genuino folclore popolare”.
La sua espressione artistica è stata già riconosciuta dal Comune di Milano, che gli ha conferito il “Premio Ambrogino 2008” per il suo impegno a sostegno delle rivendicazioni sociali e delle lotte degli operai. La sua storia personale è stata recentemente ospitata dalla giovane Sara Mannino in una tesi di laurea in Scienze della comunicazione, al Dipartimento di Scienze umanistiche presso l’Università degli studi di Catania, dopo ricostruzioni analitiche del personaggio e dell’uomo.
“Il maestro – ha ammesso la dott.ssa Mannino – appare amareggiato” perché teme la dispersione di una radice storica delle tradizioni locali, nonostante i suoi forti appelli agli organi competenti e alle istituzioni superiori, che hanno spesso avuto con lui un rapporto difficile se non controverso.
Le sue storie cantate (da “Agata a santuzza catanisa” alla “Cantata di lupara”, da “Cicciolina in parlamento” al “Miracolo di San Berlusca”) sono forse una versione atipica del giornalismo di denuncia, ma anche un pezzo di cultura ruspante che rischia di smarrirsi per sempre, tra insipienza e scarsi interessi, nel “grigiore” del web.
LUCIO GAMBERA