L’Asaes “N.D’Antrassi” ha deciso: Mario Caniglia non merita di essere socio onorario.
0Mario Caniglia non è più socio onorario dell’Asaes, l’associazione antiracket di Scordia sorta all’indomani dell’omicidio di Nicola D’Antrassi, padre di Elio attuale assessore regionale all’agricoltura, avvenuta nel marzo del 1989 per mano mafiosa. Lo ha deciso l’assemblea dei soci convocata dal presidente Rosario Barchitta in via straordinaria lo scorso 3 maggio che con 41 voti a favore e 2 astenuti ha decretato la cessazione della onorificenza tributata dopo la scelta coraggiosa di Caniglia, compiuta alla fine degli anni ’90, di denunciare i propri estortori e di farli condannare. A nulla è valsa la mediazione tentata dal sindaco, Angelo Agnello che nel corso dell’assemblea ha chiesto di rinviare il punto sperando in un chiarimento ed evitare così la frattura. Alla base della decisione dell’Asaes vi sono state le dichiarazioni rese alla stampa da Caniglia nel corso di un consiglio comunale aperto sulla legalità che si è tenuto a Scordia lo scorso 3 aprile dopo un incendio doloso che ha completamente distrutto un ristorante in un centro sportivo. Durante il suo intervento, Caniglia veniva interrotto da un componente del direttivo che lo accusava, pubblicamente, “di avere in passato pagato sempre il pizzo e di essere stato amico dei mafiosi”. Frasi che non sono state ovviamente accettate da Caniglia che ha esposto querela nei confronti del socio. “Loro mi fecero socio onorario, ma mi creda non sono stato mai onorato di fare parte di questa associazione antiracket”. Un’affermazione che da sola, anche se in un contesto a caldo dopo un’accusa frontale come quella espressa, è bastata per motivare la sua estromissione.
Dal direttivo Asaes preferiscono mantenere la massima cautela. “Il socio Caniglia era stato invitato a partecipare all’assemblea per esporre le sue motivazioni – ha affermato il presidente Rosario Barchitta – ma non si è presentato. In ogni momento – conclude Barchitta – Caniglia può chiedere di entrare come socio ordinario”.
Il rapporto tra l’associazione e l’attuale componente nazionale della Fai, la federazione antiracket italiana non è stato mai idilliaco. Nel corso di una assemblea nel febbraio del 2008, alla presenza dei vertici della Fai e di Tano Grasso, un duro attacco fu lanciato nei confronti di Caniglia che in quel periodo era al centro di un clamoroso caso: era stato accusato insieme ad altri esponenti nazionali dell’antiracket, di avere ricevuto da un imprenditore 15 mila euro e una bottiglia di champagne per permettere di accelerare una pratica di risarcimento per la legge 44/99. In quella occasione Caniglia, che era presidente dell’associazione Asaes e coordinatore regionale delle associazioni antiracket aderenti alla Fai, dopo avere querelato il suo accusatore per calunnia, fu costretto a dimettersi per potersi difendere in quattro processi, uno a Roma, uno a Velletri e due a Caltagirone, procedimenti che sono tutt’ora in corso.
Il caso di Mario Caniglia viene alla ribalta nel febbraio del 1999 quando, dopo un anno di indagini e di piena collaborazione, vengono arrestati i suoi estortori. Da quel momento Caniglia, imprenditore agrumicolo, costretto a vivere sotto scorta, diventa un punto di riferimento fermo della legalità e rifiuta un programma di protezione e di inserimento in un’altra località decidendo, primo caso in Italia, di rimanere nella sua Scordia a continuare il suo lavoro. I primi anni non sono affatto facili. La sua nipotina viene rifiutata da una scuola materna privata e anche in questo caso la notizia fa scalpore. Ama definirsi un testimone di giustizia e collaboratore della legalità. Le sue arance, ha sempre detto, non pagano il pizzo e sono pulite. “Sono dispiaciuto per la decisione assunta dall’assemblea dell’Asaes – afferma – ma tengo a precisare che le mie parole erano rivolte a qualche componente e non certo alla stragrande maggioranza dei soci di cui mi onoro di essere stato anche presidente”. Mi viene difficile pensare di far parte in qualità di socio onorario di numerose associazioni antiracket della Sicilia e di come quotidianamente ricevo attestati di stima nelle diverse mie visite alle scuole di tutta Italia dove “insegno” legalità e dove porto la mia testimonianza mentre qui non riesco ad essere profeta in patria”. Mario Caniglia è stato sempre convinto che a Scordia sono in tanti che continuano a pagare il pizzo. Nel corso di alcune intercettazioni cinque commercianti sono stati accusati di favoreggiamento e grazie alla testimonianza di Caniglia sono stati condannati.
LORENZO GUGLIARA