Paolo Borsellino, il Giudice tradito e venduto una trattativa lunga vent’anni
1Era il 19 luglio 1992, Palermo come Beirut intitolarono i giornali italiani per descrivere l’orrore. Un boato devastante, una colonna di fumo alta centinaia di metri, fiamme, braccia, mani, gambe e tronchi umani carbonizzati: tutto questo in via D’Amelio, di colpo diventata succursale dell’inferno. E tutto questo per uccidere Paolo Borsellino. Il Giudice indicato come l’erede, l’ultimo testimone e per questo anche il bersaglio. Uomo di legge e di coraggio, siciliano di fibra forte, colpevole di aver cercato una verità e di averla, forse, finanche intuita, forse trovata. Dopo la morte di Falcone, accelera i tempi della sua indagine, sa di avere poco tempo. Vuole parlare, raccontare quello che sa, ma nessuno lo convoca, lo interroga. Pochi giorni prima di venire ucciso, inizia l’interrogatorio del pentito Gaspare Mutolo, e subito si delinea all’orizzonte la presenza sinistra dei servizi segreti e di pezzi deviati dello Stato. Mutolo fa il nome di Contrada e di tanti personaggi della Palermo che conta. Borsellino viene convocato da Mancino, appena nominato Ministro dell’Interno. Mancino non ricorderà mai quell’incontro, ma Borsellino, tra le stanze di quel ministero, incontrerà Bruno Contrada. Paolo Borsellino è venuto a sapere della trattativa fra Stato e mafia. E sa anche che non sarà la mafia ad ucciderlo, come rivela anche alla moglie. Dopo l’attentato, la zona non viene recintata. Una folla di curiosi si fa strada fra i rottami e i cadaveri. Nello scompiglio c’è però qualcuno che si muove con freddezza. Sa che deve trovare qualcosa lì in mezzo: la borsa di cuoio di Paolo Borsellino. E un’agenda rossa. Passa di mano in mano, poi finisce in quelle di un capitano dei carabinieri e ancora in quelle di qualcun altro. Alla fine sparisce. Tra il fumo nero di quel pomeriggio apparve subito il volto colpevole dello Stato, incapace di istituire davanti alla casa della madre del giudice italiano più esposto, dopo la morte di Falcone, una banale “zona rimozione”. Incapace e vulnerabile fino al sospetto. Avanzato dai Giudice della corte di assise del processo Borsellino bis nelle motivazioni della sentenza di condanna dei boss: “ le carenze e le apparenti ingenuità che hanno inspiegabilmente reso meno difficoltoso il compito degli esecutori della strage”. Si partì da lì per misurare l’attenzione dello Stato verso uno dei suoi funzionari più impegnati, e si è arrivati ad ipotizzare, vent’anni dopo la trattativa Stato-mafia come causale della strage: Borsellino, ha detto Brusca, era considerato da Riina “un muro da abbattere”. Oggi, le rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza, gettano nuova luce sulle tante ombre che ancora gravano sulla strage di via d’Amelio e sulla trattativa Stato-mafia, che non è più una semplice congettura, ma una verità processuale.
Il giorno 19 luglio 2012, presso i locali di Scordia Bene Comune in via V. Emanuele, verrà proiettato il video dal titolo “ 19 luglio 1992-19 luglio 2012, due anni di stragi, vent’anni di trattativa”, contenente i migliori documenti e video raccolti dai cronisti del Fatto Quotidiano sul Giudice Paolo Borsellino e sulla trattativa Stato-mafia. Il video ripercorre gli eventi dal 1992 ai giorni nostri, con l’ausilio degli atti appena resi pubblici delle indagini a Palermo.