Lago di Lentini. Una storia tutta da scoprire.
0Fluttuanti su un’estesa depressione distante pochi km a NE di Scordia, le acque del Lago di Lentini hanno vissuto una storia assai travagliata, ma non meno interessante spesso intrecciata, particolarmente sul piano economico e sanitario, a quella della nostra cittadina.
La vasta conca che ospita il lago pare si sia formata durante il Pleistocene per i movimenti di faglie tettoniche probabilmente legate al sistema divergente denominato Graben di Scordia-Lentini.
Le notizie sulle origini dell’invaso sono ancora lontane dalla definitiva stesura e hanno dato vita ad un perdurante dibattito che non ha ancora trovato un punto di convergenza.
Così ad alcune correnti di pensiero che facevano risalire la nascita ad un non meglio specificato periodo medievale se ne contrapponevano altre che, addirittura, scomodavano il mito di Ercole!
Al momento l’ipotesi più plausibile appare quella di una formazione da collocare tra i secoli XII e XIII, allorquando i Templari ricevettero in dono una vasta area ricadente nel territorio di Lentini nella quale ricavarono una grande riserva d’acqua (per scopi ittici e venatori) grazie all’incanalamento e sbarramento del fiume Trigona.
In effetti la definizione originaria più appropriata sarebbe quella di Biviere di Lentini, proprio in quanto trattasi di bacino artificiale adibito all’allevamento ittico, come sta ad indicare il termine vivier, corruzione francese del latino vivarium.
In tempi passati l’invaso era alimentato principalmente dai numerosi corsi d’acqua, provenienti da Sud, che scaturivano dai rilievi dei territori di Militello e Scordia (Cava, Loddiero, Oxina), Francofone e Vizzini. Questi confluivano nel fiume Trigona formando un vasto bacino idrografico i cui depositi alluvionali resero fertili ed amene le estese aree che circondavano la conca del Biviere, tuttora sede di ricchissimi e pregiati agrumeti.
Dalle acque emergevano due isolotti, chiamati isola grande e isola piccola che vedevano variare in modo rilevante le loro linee di costa in prossimità dei periodi più piovosi dell’anno, quando le piene del lago, non più contenute dalle sponde e da una specie di diga presente nella curva sud orientale, finivano per riversarsi sul vicino fiume San Leonardo, antico ed importante ramo idrografico, con sbocco nel vicino Golfo di Catania, che assunse il nome del Santo protettore dei prigionieri al quale erano devoti i normanni e che trovò dei formidabili promotori nei Templari.
La profondità massima era, mediamente, di un paio di metri scarsi, variando considerevolmente a seconda delle condizioni meteo, toccando un minimo di mezzo metro o un massimo di quattro metri.
Paradiso floreale e faunistico durante le stagioni miti, il Biviere diventava un vero inferno in estate, allorquando si scatenavano gli sciami di zanzare anofele, letale flagello delle comunità stanziate sulle zone più vicine e meno elevate. Tra tutte spiccavano, tristemente, Scordia e Lentini, che per un certo tempo fu addirittura chiamata tomba dei forestieri!
Si giunse così all’idea di risolvere la situazione con una bonifica del lago.
Già subito dopo l’Unità d’Italia s’iniziarono i primi studi progettuali che, per le ingenti somme da impiegare, furono drasticamente messi da parte.
Allo scoccare del XX secolo venne adoperata una strategia più concreta culminante con l’approvazione di un progetto di prosciugamento totale i cui lavori iniziarono il 18 marzo 1930.
La sparizione del lago ebbe non poche ripercussioni sul microclima e sull’economia della zona: i pescatori del Biviere dovettero riconvertirsi ad altre attività e la loro influente corporazione finì per dissolversi. Gradualmente furono fagocitate dall’oblio tutte le tecniche di pesca e le tradizioni popolari ad essa riconducibili.
Fu solamente col DDT, portato dagli americani durante la seconda guerra mondiale che, finalmente, si riuscì a debellare la piaga, combattendola per tutto il ventennio successivo!
Quasi come a voler cancellare il rimorso di una grave colpa, il XX secolo si è chiuso con la “rinascita” del Biviere di Lentini.
Imponenti opere di canalizzazione e sistemazione hanno riportato le acque su un invaso più esteso e profondo, in grado di contenere una copiosa quantità del prezioso liquido da utilizzare in agricoltura e nell’industria. Con esse sono tornate le popolazioni ittiche e dell’avifauna che contrastano di vivaci sfumature le nuove alte e scure sponde.
Sponde purtroppo ancora chiuse ad una fruizione che, per l’elevato ed intrinseco interesse naturalistico in esse contenuto, potrebbero costituire una valida opportunità di sviluppo per buona parte delle comunità ad esse geograficamente legate. Restituendo così in risorse quanto, in passato, aveva tolto in salute.
Gino Calleri