Scordia in un dipinto del ‘700. Suggestioni, interrogativi ed ipotesi
0Traendo spunto dall’assai stimolante contributo dell’infaticabile Vincenzo Traviglia, apparso sulla sua pagina di un noto social web e concernente il ritrovamento di un’illustrazione riportante la città di Scordia, collocata nelle stanze di Palazzo Butera, a Palermo, ci lanciamo in alcune riflessioni per cercare di stabilire quanto e in che modo tale realizzazione potrebbe giovare alla ricomposizione storica della nostra città.
Avvalendoci dell’analisi di alcuni dettagli, tenteremo di avvicinarci ad almeno una delle possibili risposte.
L’artista ha raffigurato la cittadina vista dall’alto, quasi a volo d’uccello, cercando di restituire la tessitura ortogonale dell’abitato e il suo andamento inclinato adattato all’andamento del terreno che segue una ripida inclinazione frontale ed un’altra meno pronunciata in laterale, come se si trovasse su un ipotetico rilievo posto a Sud/Sud Est (in un’area grossomodo compresa tra le contrade Cittadino e Rasoli).
L’osservazione reale, in effetti, conferma uno sviluppo urbano proiettato su due direttrici primarie: una con direzione NO-SE, con accentuata inclinazione (asse Via Garibaldi, tanto per comprenderci meglio), e l’altra ENE-OSO, molto più livellata (asse Via P.ssa di Piemonte e via V. Emanuele). L’illustratore sembra aver fedelmente riportato la disposizione di alcuni assi e delle strutture urbane principali la cui individuazione, però, non risulta immediata per tutta una serie di motivi.
In realtà, prima di procedere, dovremmo soddisfare alcuni quesiti:
A che anno risale l’opera? Quali sono gli elementi sicuramente riscontrabili? E’ possibile che molti dettagli siano frutto di pura invenzione o licenza artistica? Chi aveva commissionato l’opera e quale poteva essere il suo intento?
Torniamo all’analisi del dipinto e vediamo quante risposte riusciamo a darci.
A destra di chi osserva si noterà un grande stemma (1) sorretto da una figura antropomorfa. Vi si possono chiaramente distinguere il leone rampante che sorregge uno stendardo ( il simbolo dei Branciforte, che diverrà poi simbolo del comune di Scordia) e, in posizione sottostante una grande Croce a otto punte (Croce di Amalfi, poi dei Cavalieri di Malta). Questo ci potrebbe bastare per risalire alla committenza: il casato dei Branciforte, principi di Scordia a partire dal 1628, probabilmente legati all’Ordine dei Cavalieri di Malta; proprietari, sino ad epoca recente, di Palazzo Butera. Vincenzo Traviglia ci dice che il dipinto risale al 1780, epoca in cui i Branciforte erano ancora i signori di Scordia. Alcuni elementi principali dell’opera, però, fanno ritenere che quella ritratta non sarebbe la Scordia post 1628 (anno della ri-fondazione da parte della famiglia già citata) ma una città assai più lontana nel tempo.
Sul terzo laterale sinistro, in posizione dominante, posto su un ripido colle che domina da Nord-Ovest l’abitato, sorge un robusto e severo torrione (2), quasi a protezione e controllo della cittadella sottostante e delle valli circostanti. Altro dettaglio interessantissimo in quanto, in epoca moderna, di questa torre non è rimasto più niente. O quasi.
Abbiamo voluto sentire cosa sostiene a riguardo Vincenzo Traviglia, appassionato di storia medievale e indefesso ricercatore delle vicende legate al nostro passato:
“Scordia, insieme ad altri comuni degli iblei settentrionali (Ferla, Sortino) avrebbe gli stessi fondatori: i Normanni. I Buglio erano tra i membri più importanti della schiera che sconfisse gli arabi ed ebbero come premio enormi distese di terreno sui quali fondarono dei casali. Questi casali rispondevano alle concezioni urbanistiche proprie dei villaggi medievali, con cittadelle dominate dalle fortezze e dalle abitazioni dei signori. Scordia seguiva questo schema e il quadro ritrovato a Palermo ci dice chiaramente dove questa torre era posta: sul cosiddetto Poggio Monello in prossimità dell’attuale scuola elementare di Via Bologna. La torre e la cittadella sopravvissero fino al XIV secolo, allorquando il cumulo degli effetti della guerra del Vespro e dei tumulti militari, seguiti al tradimento e all’esilio di Virgilio Scordia, ne decretò la distruzione e la rovina . Ecco perché è andata perduta“.
La ricostruzione artistica, quindi, restituirebbe all’osservatore una Scordia risalente ad un’epoca precedente al 1300, ben sviluppata (forse fin troppo) e quasi opulenta, con comodi caseggiati ordinatamente disposti su regolari assi viari (in giallo, verde e ocra rossa) ed una serie di emergenze architettoniche di una certa rilevanza. Ma perché restituire una Scordia trecentesca in pieno ottocento? O bisognerà invece considerare l’ipotesi che quella ritratta era davvero la città ottocentesca, e che dunque la torre sopravvisse sino ad allora? Una notevole fabbrica (3), probabilmente religiosa, pare ergersi alla fine di una lunga via (in verde), sul perimetro di una larga piazza. Verrebbe da pensare all’attuale sito di Piazza S. Rocco con relativa chiesa, ma, se prendiamo per buona l’epoca trecentesca e la resa pittorica dovremmo escludere tale ipotesi.
Forse sul sito preesisteva un altro importante manufatto che, al pari degli edifici attuali, si affacciava sulla retrostante Valle Cava (7) e sul torrente omonimo.
Potremmo anche supporre, tramite però una decisa aggiustatura prospettica, che l’asse viario in questione, la piazza e il grande edificio corrispondessero all’attuale via Guglielmino, Piazza Roma e Chiesa di S.Antonio ma, dal punto di vista cronologico-stilistico, varrebbero le stesse considerazioni di prima. A meno che non si voglia considerare un’altra bella forzatura storica, probabilmente suggerita dalla committenza, che, come in un’ideale sorta di continuità spirituale, ha voluto rendere “coeve” una Scordia trecentesca normanna con la sua erede post secentesca. Un invisibile cordone “spirituale”che legherebbe, come si diceva all’inizio, i Branciforte ai lontani fondatori.
Un dubbio, però, ci assale prepotente: dove sarebbe collocato il Palazzo del Principe? A prima vista, infatti, sembra impossibile individuarne la sagoma, così come la conosciamo. Ulteriore legna al fuoco del dubbio viene gettata dalla presenza, nella veduta panoramica, di altre due rilevanti fabbriche: un esteso corpo fatto di linee squadrate e a semicurva (4) e un’imponente chiesa con tanto di campanile (5) situata nella parte bassa dell’abitato. Qui converrà dire che l’esame della foto originaria, pervenuta a bassa risoluzione, non facilita l’esatta percezione delle forme, per cui, in certi casi, procediamo per ipotesi e caldamente raccomandando di vagliare con la dovuta cautela quanto viene esposto, in attesa di ulteriori osservazioni . Appare comunque evidente la totale assenza di architetture religiose e nobiliari da ricondurre all’epoca barocca o tardo barocca.
Le sagome della (4) sembrerebbero richiamare le attuali mura superstiti presenti nell’area della Chiesa di san Domenico Savio, sottostanti, quindi , il grande torrione.
Sempre il Traviglia, che ringraziamo per averci fornito l’immagine in calce, afferma: “ in realtà, al di sotto della grande torre, si estendeva la cittadella con le sue pertinenze e i suoi “servizi” quali vie e porte d’accesso, cisterne, scalinate e mura di cinta. Quelle strutture potevano far parte del sistema urbano. Probabilmente dovette anche esistere un antico romitorio”
La posizione della (5), invece, corrisponderebbe al sito dove, per buona parte del secolo scorso, svettava una torretta con orologio (la famosa via dell’orologio, oggi Via Alfieri) ma non si hanno notizie di una rilevanza architettonica individuabile in modo coerente, per cui è davvero difficile stabilire di cosa si tratti.
Diamo, adesso, una rapida occhiata al piccolo agglomerato di edifici indicato dal (6). Subito verrebbe da pensare alla vicina e soprastante Militello, colta nella sua parte più bassa (sito del Purgatorio/S. Maria La Vetere) , ma anche in questo caso occorrerebbe aggiustare e concordare la resa prospettica con un’altra evidente distorsione.
Più coerente e corretta parrebbe una collocazione nell’area dell’attuale C.da Montagna, in zona S. Maria della Stella o Canalicchio. Potrebbe allora trattarsi dell’antica Scordia superior , il nucleo originario della città che, a partire dalla seconda metà del XIII secolo, si sarebbe “sdoppiato” trasferendosi a quote più basse.
Ci troveremmo, così, innanzi ad un altro elemento di non poco conto, in quanto comprovato da fonti documentali, che fornirebbe argomentazioni a favore di una certa coerenza storica dell’elaborato artistico. Possiamo allora attribuire un alto grado di attendibilità all’opera in questione? E’ veramente una possibile Scordia del XIII secolo quella che si vede, coerentemente priva del palazzo principesco e delle sinuose forme barocche , (restituita sulla base di quali testimonianze?) o una città più moderna che si impreziosisce di reliquie del passato tra filari di fabbriche più tardive? L’autore è stato realmente nei luoghi ritratti o ha seguito descrizioni e suggerimenti altrui? Possibile si tratti di una ricostruzione totalmente fantasiosa?
Qui occorre aggiungere che, nello stesso palazzo Butera sono conservate altre tele che restituiscono le vedute di tutti gli altri feudi all’epoca posseduti dai Branciforte. Vedute in alcuni casi talmente dettagliate da riportare le una minuziosa e preziosa toponomastica, come nel caso della città di Mazzarino.
Facendo nostra l’ipotesi che l’autore sia il medesimo, non potremmo che trarre la conclusione di una assai probabile conformità realistica. Resta quindi il rompicapo di prima: la Scordia dipinta a quale epoca appartiene?
Ci fermiamo qui, su queste domande e ipotesi suggerite dall’osservazione del dipinto, in attesa di ulteriori e più esaustivi contributi, non escludendo eventuali errori di valutazione forse inevitabili in tali casi.
Alleghiamo una elaborazione a falsi colori dell’immagine originaria proprio per cercare di favorire una più facile individuazione degli elementi di cui abbiamo trattato.
GINO CALLERI