Archeologia a Scordia (Un esperimento?)
9Durante gli ormai svariati anni in cui mi occupo, con alterne vicende, del patrimonio culturale della provincia e del nostro territorio si è fatta sempre più presente e pressante, nella mia mente, la domanda sul perché, malgrado le evidenti e talora rilevanti emergenze archeologiche presenti in zona, Scordia occupi un posto quasi marginale nella considerazione generale. E, mi sento di dire, anche in quella prettamente locale! Come se il percorso storico della nostra comunità rappresentasse in realtà un problema da dimenticare o rimuovere, piuttosto che una risorsa da sfruttare. Eppure, nel raggio di pochi chilometri di distanza, altri centri fanno della loro storia ben altro uso! La vicinissima Militello può vantare la presenza di tre musei aperti al pubblico e di una costante presenza di studiosi e addetti ai lavori che continuamente ne esaminano il territorio e il patrimonio, quasi sempre promuovendone la tutela e il recupero, non mancando di convogliare il frutto del proprio operato in numerose e spesso interessanti pubblicazioni.
A Licodia Eubea e a Ramacca la Soprintendenza di Catania ha effettuato, durante gli ultimi anni dello scorso secolo, intense campagne di scavo che hanno condotto, tra l’altro, all’istituzione di tre musei che conservano interessantissime e pregevolissime reliquie archeologiche. E qui, a Scordia? Qui il nulla o quasi. Come se secoli e, perché no, millenni di storia fossero stati fagocitati da un misterioso buco nero! Un buco nero che, azzardando un’ipotesi, è anche da individuare in una “storica” ed endemica indifferenza di larga parte dei propri abitanti. Indifferenza che per chissà quale contorta proprietà transitiva, sembra aver contagiato le amministrazioni preposte alla valorizzazione e alla tutela delle emergenze archeologiche. Così può accadere che mentre a Militello si celebri la scoperta di un interessante villaggio preistorico, forse il più antico tra quelli del comprensorio, risalente alle prime fasi dell’età del Rame (circa 3000 a.C.), a Scordia si “festeggi” la costruzione di imponenti complessi domestico-industriali che fieramente sovrastano, quando non devastano del tutto, interi siti potenzialmente interessanti. Del resto cosa si potrebbe rimproverare ad una comunità che ha avuto lungimiranti e luminosi esempi in amministratori che hanno permesso la distruzione di un piccolo gioiello quale l’arena del Principe, col suo magnifico portale, per ergervi, quasi a moderna derisione, un orribile, anonimo e deturpante scatolone di cemento armato tutt’ora chiamato Municipio?
L’unica istituzione pubblica che ostinatamente continua ad occuparsi dei trascorsi della nostra comunità, per evitarne un sicuro oblio, è il Museo Civico e Archivio Storico “De Mauro” ma, per sua natura e vocazione, esso si occupa prevalentemente di aspetti sociali ed etno-antropologici, sebbene l’archeologia, all’occasione, trovi sempre ampio spazio e disponibilità nelle proprie attività e pubblicazioni. La speranza è che quanto prima venga messo nelle condizioni di poter allestire una vera e propria sezione archeologica. Volendo vestire i panni del famoso avvocato del diavolo (che qui avrebbe compito sin troppo facile), si potrebbe obiettare che Scordia ha un territorio troppo piccolo in cui, tra l’altro, c’è poco o nulla. Obiezione, in parte, respinta: è vero che il territorio è poco esteso; ma quello che c’è (quando c’è ) è quello che … è rimasto! Chissà in quante “collezioni private”, tanti oggetti rinvenuti per caso, o per ricerca, faranno bella mostra di sé. E chissà quanti chilometri avranno percorso degli altri! Chissà quali pareti saranno impreziosite da fregi e cornici deliziose! Chissà quanti reperti venuti alla luce sono stati fulmineamente riseppelliti, per evitare interferenze e confische istituzionali di (presunta) scarsa convenienza! Si potrebbe continuare, inutilmente ormai, a riempire pagine e pagine con elenchi di ciò che un tempo (forse) c’era e che adesso (di certo) non c’è più, ma sarebbe, appunto, inutile. Una parziale consolazione è pensare che, in fondo, ancora una grandissima parte del patrimonio storico-culturale, anche nel nostro territorio, deve ancora essere scoperta e che, in futuro, potrà fare una fine migliore e più decorosa, soprattutto utile. Altro elemento confortante è il graduale cambiamento nell’atteggiamento di taluni appassionati che iniziano a far riferimento alle strutture pubbliche per gli esiti delle loro ricerche o per consegnare preziosi rinvenimenti materiali e/o documentali. A questo proposito lancio un’idea (o una provocazione … la si intenda come si vuole) per concludere in modo, voglio sperare, non sterile quest’intervento. Prendo in prestito la fortunata, originale e pratica operazione avviata da alcuni anni in Gran Bretagna e che vede coinvolti, in stretta collaborazione, organi istituzionali, proprietari di terreni, appassionati del settore e, perché no, ex tombaroli! E’ stata chiamata “Treasure act” (Atto del tesoro). In pratica è l’uovo di Colombo, in fatto di pratica archeologica, che permette di fare tutti contenti: le sovrintendenze riempiono i musei, i proprietari dei terreni hanno riconosciuti diritti ed indennizzi vari, volontari, appassionati, disoccupati (e tombaroli) trovano un lavoro regolare e la cultura non subisce mutilazioni di sorta. Perché, previo il dotarsi di tutte le metodologie comprovate e concretamente applicabili, non si tenta di avviare un esperimento simile anche da noi? Sarebbe la quadratura del cerchio: riempire i piatti grazie alla storia!
GINO CALLERI*
Diplomato presso il Liceo Scientifico Statale “E. Majorana” di Scordia, da sempre è affascinato dall’astronomia, dall’archeologia e dalle arti creative che lo appassionano profondamente, prediligendo la Pittura, la Musica, la Fotografia, la Scrittura.
Attualmente è impiegato presso la Soprintendenza ai Beni Culturali di Catania, ove si occupa di riprese fotografiche e della gestione informatizzata dell’archivio fotografico.