Gino Gambera, senza fare rumore.
0Senza fare rumore, nel volgere di pochi giorni Gino Gambèra ci ha lasciati. Un malore il 2 gennaio, e poi l’addio la mattina del 19 gennaio. Si potrà dire che la stessa discrezione e timidezza che ne hanno segnato la personalità lo abbiano accompagnato anche nell’ultimo viaggio. Quasi a non voler arrecare disturbo, essere di peso, a lungo, a qualcuno. A settant’anni compiuti il giorno di ferragosto, Gino era la stessa persona conosciuta a metà degli anni ’70 (del secolo scorso, si dice così). Io giovane studente del Liceo Artistico e lui che abitava a Catania, a due passi da piazza Università, in tre piccole stanze dalle pareti colme fino al soffitto dei suoi quadri, circondato di vasi, piatti in porcellana, fiori, dischi e pile di raccoglitori di foto. Gino Gambèra non è stato una persona qualunque per Scordia. La sua fine improvvisa e silenziosa, i pochi ad accompagnarlo nell’ultimo tratto di strada non danno ragione affatto di ciò che ha rappresentato per una lunga stagione nel panorama culturale di Scordia. In un cassetto del soggiorno della sua casa-museo ha raccolto depliant, cartoline, articoli, che documentano le decine e decine di mostre personali e collettive alle quali ha preso parte in oltre cinquant’anni di produzione artistica. Ordinato, metodico, sapeva che solo a lui spettava il dovere di non smarrire la propria storia.
Nessuno meglio di lui ha raccontato Scordia e la bellezza del suo patrimonio artistico, la ricchezza del suo territorio e del suo paesaggio, prima che la devastazione colpisse il cuore del suo centro storico e la campagna. I suoi scorci di Palazzo Branciforte visto dalla Cava, del giardino antistante (occupato prima da una arena cinematografica e poi dalla costruzione del palazzo municipale), del Portale d’ingresso, e giù della fontana, hanno anticipato la nascita di quella sensibilità che indusse nei primi anni ’80 ad una reazione e alla denuncia dei danni che un illusorio boom economico stava provocando all’identità dei luoghi e nella cultura collettiva di Scordia. Lui, Gino, aveva documentato a iosa con foto semplici, senza presunzione professionale, com’erano Scordia e le contrade che la cingevano a corona. Questo faceva nelle sue consuete passeggiate, spesso in compagnia di amici e amiche residenti in città ai quali orgoglioso mostrava le bellezze nascoste della sua Scordia. Nei dipinti quelle immagini diventano altro, citazioni, spunti per ricreare nuove atmosfere e quella bellezza che la foto fredda non rendeva abbastanza. Quelle foto, i quadri a smalto o tempera, le stampe, gli acquerelli, le ceramiche, sono un patrimonio preziosissimo di arte e di memoria. Nessun altro ha prodotto tanto per immagini. Nel mentre quel mondo stava per essere spazzato via da colate di cemento, dimenticato e offeso dalla noncuranza.
Nel 2012 si era fatto un regalo, seppure con pudore non la definisse un’autobiografia, con la stampa di un volume – La Natura e i ricordi. Piccolo album fotografico di un angolo di Sicilia – in cui ha raccolto per frammenti i momenti significativi e intimi della sua vita di uomo e di artista. In quelle pagine la sua famiglia, il suo rapporto profondissimo con la casa di contrada Gagliola, gli amici, i trascorsi a Milano, i viaggi a Roma e in giro per l’Italia e l’Isola, si intrecciano col nascere ed evolversi della passione per la fotografia, la pittura, per le escursioni per chiese, monumenti e casolari, i fiori, l’opera lirica e la lettura. Il tempo che passava, credo gli abbia reso impellente il bisogno di fare il punto, per se stesso innanzitutto, a partire dall’infanzia, lungo la giovinezza, e fino a che la memoria non ha preso il sopravvento sul tempo a venire. Non aveva cercato editori, ma trovato il modo tramite internet di avere la stampa, a proprie spese, del testo preimpaginato, nel numero delle copie utili di volta in volta.
“Che cosa è rimasto di tutto ciò per cui mio padre ha lavorato e combattuto, che io stesso ho amato e vissuto? Solo delle foto e queste righe che sto scrivendo in un gelido inverno che non ha niente in comune con quelli miti del passato e fa da contrappeso alle estati violente e rabbiose dal sole bruciante e cattivo. Molte persone e molte cose care della mia vita sono un ricordo lontano. La primavera, l’eterna primavera siciliana, risale ormai a un tempo perduto. Ma, allora, essa era in me, la portavo nel mio cuore”, scriveva Gino nell’ultima pagina.
Don Vito Valenti, nell’affidarlo all’amore di Dio, ha creduto certo che lassù abbia già incontrato la bellezza vera che ha sempre cercato.
SALVATORE AGNELLO