Il fascino irresistibile della chiesa di S.Antonio e del Convento dei Frati Minori
3Depauperato da ottuse quanto insensibili politiche culturali nel corso del secolo scorso, ingiuriato dall’incuria e dall’inesorabile scorrere del tempo, ferito gravemente da disastrosi fenomeni naturali, il nostro patrimonio storico e culturale può annoverare ancora pochi gioielli superstiti. Tra questi è sicuramente da includere il complesso religioso formato dalla Chiesa di S. Antonio e dall’annesso Convento dei Frati Minori.
Il 7 Agosto 1644 il Principe Antonio Branciforte e la moglie Donna Giuseppina Campulo promuovono la fondazione della fabbrica religiosa, sollecitati anche dal fratello del principe, l’allora vescovo Ottavio, il cui busto campeggia al centro del prospetto principale, appena sopra il portale.
I Branciforte si impegnarono a finanziare interamente al costruzione e a fornire ai frati le basi per il loro sostentamento. Il Regesto dei Conventi Siciliani del 1649 riporta che in quell’anno i lavori erano completi per la metà ma procedevano alacremente e che la comunità monacale contava 5 sacerdoti, un chierico e 5 laici.
La chiesa è a pianta semplice, ad unica navata, ma alla semplicità planimetrica ed estetica, con un “umile” prospetto a due ordini in cui gli unici elementi di spicco sono la grande finestra centrale, racchiusa in una preziosa cornice in pietra decorata a motivi geometrici, il mezzo busto del vescovo Ottavio e il portale d’ingresso, è contrapposta un ricco apparato decorativo interno che si fregia di eleganti stucchi, fastosi altari e pregevolissime opere d’arte tra le quali ricordiamo il Cristo alla Colonna, statua lignea del 1739, generalmente attribuita ad un artista locale ( forse uno degli ospiti del convento che l’avrebbe ricavata da un pero che sorgeva nella Silva di pertinenza), un Crocifisso di nobilissima fattura, riferibile a Frate Umile da Petralia (o ambienti a questo contigui), risalente al XVII secolo, e una serie di splendidi dipinti e affreschi, tutti di sapiente tecnica, tra i quali spiccano un’Addolorata (attribuita a Vito D’Anna), un’Immacolata (di attribuzione incerta: Paolo Vasta o Costantino Carasi i papabili autori) e uno spettacolare S. Anna e Sacra Famiglia che alcune fonti, forse con troppo facile entusiasmo, hanno addirittura riferito al Rubens!
Il pavimento era arricchito da un prezioso rivestimento in maiolica dipinta (in tutta al diocesi ne resistono pochissimi altri – uno è a Militello) che è andato quasi interamente perduto: le parti superstiti si possono ancora ammirare nella zona dell’altare maggiore.
Un recente restauro ha conferito nuova luminosità e cromia alla navata, con grande utilizzo di bianchi e tinte pastello, mentre al piano di calpestio sono state applicate delle mattonelle coi toni del cotto. Purtroppo tale intervento è rimasto incompleto non potendo essere esteso anche alla parte superiore, ricca di affreschi assai danneggiati che aspettano ancora di essere sapientemente recuperati.
Da un passaggio in comune con la sagrestia si accede, per via interna, al Convento, altrimenti raggiungibile da una porta che affianca ad est il prospetto della chiesa.
Il Chiostro ne è sicuramente la parte esteticamente più valida e interessante: un grazioso colonnato racchiude un cortile scoperto con una cisterna centrale. Dai capitelli, di stile composito ma assai semplice, si diparte una teoria di archi a tutto sesto che slancia ed arricchisce di particolari effetti di luce l’insieme.
Sulle pareti retrostanti ogni serie di colonne sono state dipinte delle lunule corrispondenti alle arcate relative che recano affreschi con vari episodi riferibili alla comunità francescana (scene di ascesi e contemplazione a nord e sud, scene di martiri e sofferenze a est ed ovest), più in basso delle didascalie e altri affreschi, con ritratti di santi e brani della Genesi. Tale produzione pittorica, tuttavia, non ha, sinora, trovato il conforto di una paternità artistica certa. A tal proposito riportiamo quanto scritto, nel secolo scorso, dallo studioso S. Pappalardo:
“(…) ci troviamo dinanzi ad un artista complesso di cui il nome ci sfugge tuttavia. Infatti non è possibile riferire gli affreschi del Convento di Scordia, della prima metà del settecento, a quelli degli altri conventi in altre parti dell’isola. Probabilmente essi saranno il frutto dell’opera appassionata di qualche frate locale (…) “
L’opinione del Pappalardo merita sicuramente rispetto e osservanza, ma in questa sede ci spingiamo a metterla in discussione poiché non ci pare di poter constatare l’assoluta mancanza di riscontri con altri conventi presenti nella nostra isola. Anzi!…
San Fratello è uno dei pittoreschi comuni che compongono la peculiare formazione urbanistica incastonata sulla Catena dei Nebrodi.
La Chiesa Madre (S. Maria Assunta) è annessa ad un Convento francescano del 1617, voluto dalla baronessa Donna Alfonsa Alarcon (o Larcan), moglie di Don Giovanni Soto, segretario di Don Giovanni d’Austria.
Le analogie stilistico-strutturali col nostro Convento sono percepibili in tutta la loro evidenza: simile la planimetria, la stessa sequela di archi, il cortile interno con cisterna centrale.
Tali corrispondenze ci fanno propendere per una sorta di condivisione tecnica tra i costruttori dei due complessi religiosi che avranno quantomeno mutuato alcune soluzioni architettoniche consolidate, probabilmente riscontrabili nei progetti di molti altri conventi coevi, differenziandosi sostanzialmente nel disegno esterno della chiesa annessa e nella scelta dei materiali delle arcate (mattoncini rossi) e delle colonne portanti (marmo rosso?). Tuttavia l’aspetto che più accende la nostra attenzione è la decorazione delle pareti del chiostro.
Analogamente a quanto descritto precedentemente, ad ogni arco del colonnato corrisponde, sulla parete retrostante, una lunula dipinta con scene di vita francescana. Ora martiri, ora asceti o contemplativi dell’ordine.
La tipologia di affreschi, la cromia preponderante, la scelta dei temi nonché una certa similitudine compositiva, riscontrabile soprattutto nella chiusura a cornici dipinte delle lunette, ci rimandano immancabilmente agli affreschi del nostro Convento, seppur non privi di brani differenti, forse dovuti a mani diverse.
Persino la stessa successione verticale dei soggetti dipinti mostra forti similitudini. Procedendo dall’alto verso il basso troviamo: lunula con scene religiose, didascalia sottostante affiancata da medaglioni ovali con ritratti di religiosi.
Una differenza sostanziale è che i dipinti del Convento di San Fratello non sono artisticamente “orfani” essendo opera di tale Frà Emanuele da Como (1625-1701), un confratello laico, apprezzato autore di un fiorentissima produzione di scene sacre sparsa in tutta Italia e in buona parte della stessa Sicilia.
Ci chiediamo, quindi, se in qualche modo, un’eco della sua “presenza” non si possa riscontrare anche nelle opere pittoriche del Convento scordiense, proprio in virtù delle fortissime analogie sin qui rilevate.
Ad onor del vero siamo i primi a riconoscere, oltre ad una incongruenza cronologica (se dobbiamo attenerci alle tesi del Pappalardo), anche delle nette differenze di stile che non possono esser ignorate.
Le figure del convento di San Fratello sono imponenti, statiche, quasi severe e in prevalenza mai intere.
Nel chiostro scordiense, invece, si susseguono scene comunque plastiche, in certi casi quasi agili, con protagonisti a figura intera e ben delineata che, in alcune lunette (scene dei martiri), sembrano richiamare le immagini dell’opera dei pupi, dei cantastorie e persino dei carretti siciliani; tanto il loro carattere è dinamico, moderno e leggero, attento ad una resa prospettica di concezione più avanzata e libera.
A farci ritornare all’ipotesi di uno scambio artistico e culturale col convento messinese è però un indizio che, apparentemente insignificante, rappresenta, secondo noi, uno spunto di riflessione interessante.
Le scene dipinte nel chiostro scordiense sono delimitate da cornici (sempre dipinte) poggianti su capitelli e basi che riprendono quasi fedelmente gli stilemi degli elementi in pietra lavorata utilizzati come decorazione delle aperture ricavate sulla parte inferiore delle pareti. Nei capitelli affrescati, però, è presente un variegato motivo decorativo ad imitazione del marmo rosso, pietra del tutto assente nel nostro chiostro ma che ritroviamo abbondantemente nelle colonne e nei capitelli del convento di San Fratello!
Forse che l’artista o gli artisti autori degli affreschi hanno inteso così lasciare una traccia della loro provenienza e formazione? Magari omaggiando in tal modo eminenti personalità di quel romitorio o, più semplicemente, ricordarlo come luogo assai caro?
Al momento non abbiamo una risposta certa ma, come ulteriore ed ultimo supporto alla nostra intuizione, segnaliamo anche nella chiesa annessa a quel convento la presenza di un Crocifisso ligneo attribuito a Frà Umile da Petralia.
Come sempre non azzardiamo di rivestire col pericoloso manto della certezza quanto sin qui riportato, del tutto consci che gli argomenti presentati non costituiscono prove decisive ed incontrastabili.
Questo vuole piuttosto essere un ennesimo suggerimento, uno stimolo alla ricerca, negli ambiti più competenti, per fare in modo che anche i dignitosi affreschi del nostro Convento possano, un giorno e finalmente, trovare un …Padre!
GINO CALLERI