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Il Parco Cava fonte inesauribile di studi e scoperte

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  • di Gino Calleri
  • in Cultura & Spettacolo
  • — 1 Lug, 2015

10374480_10204361894836464_8532692245489976557_nAbbiamo più volte descritto le peculiarità storiche, archeologiche, naturalistiche e geologiche che l’area conserva e restituisce ai visitatori interessati. Oggi ci occupiamo dell’ennesima meraviglia geologica custodita tra le pareti del vallone, nella parte bassa, quella compresa tra il cimitero comunale e l’ex convento dei frati minori.
Imboccando, infatti, una stradina che fronteggia il camposanto e procedendo per alcune centinaia di metri, accompagnati dal piacevole scorrere di placide acque (reflue) dall’ odore a dir poco nauseabondo (e aspettando ancora i lavori per la captazione di tali acque che vergognosamente deturpano il paesaggio e costituiscono un potenziale pericolo per la salute pubblica), svoltando lievemente sulla sinistra ci si trova al cospetto di ripide pareti color miele e rosa, tipico delle rocce sedimentarie sviluppate in ambiente marino. Queste pareti sono remotissime, avendo sicuramente più di diverse centinaia di migliaia di anni di età e, in epoca recente, sono state sfruttate per ricavarne materiali da edilizia ( non a caso la zona si chiama “Cava”). Sulle parti superiori di entrambi i lati della valle sono ancora leggibili i segni le iscrizioni che operai (e proprietari) hanno lasciato come testimonianza del loro passaggio. Ma a metà dei costoni che danno a nord si nota qualcosa di davvero sorprendente ed assai interessante. Ad un’altezza di qualche decina di metri campeggiano delle striature orizzontali, sicuramente alte alcuni metri, che un occhio poco attento potrebbe scambiare per bizzarri disegni incisi sulla pietra, a mo’ di enormi geroglifici.
11058817_10204361894796463_4661524264294274122_nEsaminando meglio le incisioni, che si estendono in orizzontale per diverse decine di metri (forse centinaia) ci si accorge, invece, di esser di fronte ad uno strato geologico molto antico. I graffiti sulle pareti non sarebbero quindi opera di umana bizzarria, ma dell’incessante lavorio delle forze naturali. Nel caso specifico delle acque del mare. Come più volte accennato, il nostro territorio si trovava, in origine, sommerso dalle acque per riemergere successivamente, ad opera delle possenti forze tettoniche che spingevano (e spingono continuamente) la placca periferica africana sotto quella europea (più leggera), nei pressi della Catania-Gela. Tanto per semplificare, diremo che l’altopiano ibleo è il risultato del corrugamento del “bordo” africano, mentre i rilievi degli Erei (da Ramacca verso Enna, per intenderci) sono il prodotto del piegamento di quello europeo.
Lo strato di cui ci stiamo occupando, quindi, durante la risalita dagli abissi dovette ad un certo punto trovarsi in prossimità della linea di costa; cioè laddove il mare incontrava la superficie terrestre.
Ora, i tracciati erosivi delle linee di costa, generalmente e per effetto dei secoli, tendono ad assumere una conformazione “piatta”, che sembra annullare gli effetti di fenomeni intensi ma temporanei (mareggiate, tempeste, etc.), privilegiando i periodi più prolungati di relativa “tranquillità”.
11062548_10204361894876465_1923190889234175215_nI solchi presenti sullo strato in questione mostrano delle pieghe e delle increspature irregolari, che ricordano moltissimo i moti ondosi durante periodi di mare assai agitato. In altre parole, sembrano restituire l’immagine di tensioni e movimenti eccezionali, probabilmente di non breve durata.
Cosa può aver causato il fenomeno?
Le ipotesi, ovviamente, sono, al momento, svariate e attendono conferme (o smentite) che arriveranno con indagini approfondite e specialistiche da effettuarsi, ci auguriamo, in tempi rapidi.
La genesi delle striature potrebbe essere ricondotta ad un periodo assai prolungato di sconvolgimenti marini: tempeste secolari, movimenti impetuosi del mare, tsunami ripetuti.
Potrebbero anche essere il prodotto di importanti frane costiere. In tal caso bisognerà considerare che lo strato in questione si trovasse sotto il livello del mare e non a livello di quest’ultimo.
In ultima analisi, questo importante strato sedimentario dimostra che qualcosa di geologicamente portentoso deve essere accaduto in qualche epoca remota. Un accadimento tale da lasciare la propria “impronta” persino sulla dura roccia. Un gioco di forze portentose che forse si è protratto per moltissimo tempo.
E’ possibile trovare ulteriori segni di questo sconvolgimento geologico in altre zone?
E’ possibile risalire ad una data di tale fenomeno?
A queste domande dovrà rispondere la Geologia, insieme a tante altre.
Indagando dovutamente lo strato forse si troverà pure il modo di mettere in relazione le tracce dell’evento con altre testimonianze di devastazione naturale che sono altresì presenti su larga parte del territorio (pensiamo ai crolli di costoni calcarei che hanno coinvolto la parte superiore della vallata), ricostruendo, così, lo spaccato affascinante, per quanto terrificante, di un arco temporale in cui una immane successione di fenomeni ha determinato e modificato profondamente l’assetto geologico di questo meraviglioso lembo di Sicilia.

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