Scordia tra tradizioni e innovazioni casearie
0Sicilia terra dai mille odori e sapori inebrianti. Vento di scirocco che profuma di zagara, pistacchi, olive, timo, basilico, sono solo alcune degli odori e sapori che contraddistinguono la nostra isola. Crocevia di popoli la Sicilia è sintesi di un perfetto equilibrio terra mare.
L’isola dei sapori nasconde nel suo grembo prodotti eccelsi che preservano tutt’oggi la più millenaria delle tradizioni legandola all’innovativa scoperta gastronomica. La sintesi sapiente di sapori derivanti da alimenti autoctoni, prodotti selvatici e tradizione culinaria isolana ha fatto della dieta mediterranea il patrimonio immateriale dell’umanità per eccellenza.
I riti siculi si perdono nella notte dei tempi come quelli che caratterizzano la tradizione casearia siciliana. Ripresi e continuati da famiglie storiche scordiensi come le famiglie Ragusa, Rizzo, Sciacca, Caniglia che tramandano l’arte di un tempo nella produzione di tuma, ricotta e pecorino.
Come si fa “u Tumazzu” tradizionale? Le tradizioni sono rimaste invariate? La crisi ha intaccato questo settore? Queste sono solo alcune delle domande che abbiamo posto agli allevatori proprietari di 3 caseifici scordiensi: Fratelli Sciacca , Cultraro Elia Silvana e Caniglia Paolo, nuclei familiari che da quattro e più generazioni lavorano ad arte il latte e i suoi derivati.
Nella realtà scordiense sono questi tre i produttori primari caseari a filiera corta. Ovvero il latte reperito dai loro allevamenti ovini confluisce per via diretta, ed entro e non oltre 24 ore, nei contenitori refrigeranti che lo contengono per poi passare alla lavorazione del formaggio.
Il latte estratto dalla mungitura ancora manuale delle pecore, che avviene nelle prime ore mattutine, viene trasportato (attraverso bidoni in acciaio) nelle vasche refrigeranti dalle quali viene estratto intorno alle 6 del mattino e inserito nelle “Quadare”. “La quadara è n’apparecchiu pi quadiari o fàciri evapurari lìquiti” contenitore in rame e stagno di svariate capienze con grossi manigloni per riscaldare il latte.
Quest’ultime piene di latte vengono poste sul fuoco ( per il caseificio Caniglia alimentato ancora a legna, i restanti a gas) e portate ad una temperatura di 40 gradi circa, viene aggiunto il caglio ( stomaco dell’agnello sotto sale) e si forma la cagliata. Questa viene rotta con dell’acqua calda e uno strumento “a scocca” (bastone in legno con parte superiore ad anelli solitamente in legno di millicucco o noce che è stato soppiantato in acciaio per alcuni caseifici) si forma la tuma che precipita al fondo del pentolone che viene prelevata manualmente ed inserita nelle fascere, oggi in plastica ma anticamente “ no juncu do sciumu (giunco del fiume, contenitore intrecciato in giunco)”. Ottenuta la tuma questa può essere consumata in giornata, tradizione vuole che vada “nda scacciata” e “nda pasta o furnu”, oppure viene semicotta nel siero divenendo primo sale con l’aspersione dopo 2 giorni del sale. Memoria “scordiota” vuole che al momento della formazione della tuma questa venga farcita con pepe nero o rosso, l’innovazione gastronomica moderna vede la tuma farcita con svariati prodotti tipici nostrani: olive nere, pistacchi, rucola, noci, finocchietto selvatico, pomodori secchi, erbette varie e chi ne ha più ne metta!
La fase di lavorazione continua con la produzione della ricotta, al lattosiero residuo dalla tuma viene aggiunto dell’altro latte, quindi viene messo sul fuoco raggiunta una temperatura tra gli 80-90 gradi la ricotta coagula e viene a galla. Il tutto avviene ancora manualmente senza l’ausilio di macchinari ed eccipienti chimici di nessuna natura. Per estratte la ricotta vengono tutt’oggi usati: “Cuppini”, “buzzunetta” e “varozzi”. La ricotta anticamente messa nella “cavagna” o nella “cavetta” di alluminio ( usata dai militari nel corso della prima guerra mondiale) oggi viene venduta in contenitori di plastica a perdere: le fascere.
Le tradizioni sono rimante invariate non solo dal punto di vista gastronomico ma anche rituale. Tutt’oggi gli allevatori fanno i ringraziamenti di rito a nostro signore, alcuni creando una croce con il “riminatore o nucidda” ( bastone per mescolare) sulla quadara altri proferendo la formula antica: “santu Ramunnu ricotta finu u funnu” (santo Raimondo ricotta fino al fondo del pentolone) profanando il rischio di scarsa formazione della ricotta. Chi non crede alla formula o al rito della croce non manca di ringraziare comunque nostro Signore per la produzione giornaliera. Il lottosiero restante nella Quadara viene portato in campagna e dato agli animali creando un ciclo virtuoso completo che non prevede la perdita di alcun elemento nutritivo.
Il settore caseario scordiense soffre la crisi? “Di certo un calo si è registrato – affermano unanimi gli allevatori – ma è positivo il fatto che in questo tempo di crisi i nostri compaesani stiano ritornando alle tradizioni alimentari acquistando meno i confezionati e preferendo i nostri alimenti sani e genuini”.
MARTINA PISASALE