Viaggio recente al Parco Cava e Grotta del Drago
2L’esplorazione del territorio, riserba sempre delle interessanti sorprese.
Qualche settimana fa ci siamo recati, insieme ai validi e generosi volontari del comitato promotore a Scordia alta, in un lembo di terra inserito nel costituendo Parco Cava-Grotta Drago, per constatare personalmente alcuni elementi di curiosità, presenti nella zona.
L’area in esame sovrasta, sul lato che da a mezzogiorno, una buona parte del corso del torrente Cava, sul quale offre una vista spettacolare e suggestiva.
La posizione elevata, l’indubbia presenza di acqua e lo spirare quasi costante della brezza hanno sicuramente attirato da sempre l’attenzione umana, che qui ha lasciato diverse e cospicue testimonianze.
Sul piccolo tavolato compreso tra le rupi, in una leggera pendenza, s’erge il rudere di un antico casolare, probabilmente riferibile all’inizio del secolo scorso, in cui sono riscontrabili degli elementi assai peculiari: una pregevole cucina a parete, un’elegante base per un albero, un piccolo abbeveratoio in tufo.
Accanto alla struttura, appena qualche decina di metri dal prospetto principale, uno spiazzo delimitato da un bassissimo perimetro rettangolare in pietra: probabilmente vi si operava la separazione del grano.
Tutto intorno si estende una superficie calcarea che offre, a tratti, un comodo camminamento. Qui, specie in prossimità dei bordi del tavolato, si notano delle piccole cavità di indubbia origine artificiale. Alcune di forma squadrata, altre dal perimetro quasi circolare. In qualche caso si riscontrano delle scalfitture che vi si dipartono, sottili e poco pronunciate, simili a canalette di scorrimento.
Spostandoci verso est, il terreno si fa un po’ più “rugoso” e tra i ciuffi d’erba affiorano parecchie creste calcaree irregolari, erose dall’acqua piovana. Un’attenta osservazione però mostra che un’altra teoria di creste ha un andamento assai più regolare e sembra suddividere il terreno discendente in una serie di compartimenti, come se si trattasse di delimitazioni proporzionalmente dimensionate.
In realtà le creste sembrano sporgere per non più di una trentina di centimetri dal suolo ma quasi tutte presentano, all’apice, delle scanalature orizzontali, sempre a guisa di canalette di scorrimento o di guide per sottili superfici. Si potrebbe pure pensare agli esiti di erosione d’acqua ma la cosa insospettisce molto quando, ad un certo punto, queste sembrano intersecarsi tra loro, alla stregua di un incrocio ben definito! Possibile che siano scherzi di un’estrosa opera naturale?
Ci chiediamo: a che cosa potevano servire?
Delimitavano spartani ambienti o ancora per l’accumulo e l’utilizzo d’acqua piovana?
In effetti, spostandoci leggermente scorgiamo, a poca distanza, una specie d’invaso che sembra la naturale area di raccolta delle strutture prima citate. L’invaso, appena percepibile a causa della vegetazione, ha un andamento che segue la naturale pendenza del terreno. Forse era un modo per convogliare le acque verso il cosiddetto “canalicchio”, ove fa bella mostra di sé una fontana incastonata in scenografici speroni rocciosi. Ma è davvero così? Bisognerebbe dedurne che la principale preoccupazione delle genti che si stanziarono in zona era l’utilizzazione delle acque. Ma di chi poteva trattarsi?
Come detto prima, le pareti che ripidamente scendono sul fondo valle del torrente Cava (a N/O) e di un suo affluente (a S/E) mostrano chiari segni di antichissime utilizzazioni. Analogamente a come accadde in molte altre zone del comprensorio è probabile che antri arcaici siano stati riutilizzati sino all’epoca bizantina e altomedievale.
Tuttavia le quote in cui si scorgono tali siti, lasciano desumere che, in altre epoche, il livello del torrente doveva trovarsi molto più in alto. Ricordiamo, infatti, che ancora sino alla prima metà del secolo scorso, le sue acque, non ancora inquinate da scarichi moderni, venivano utilizzate come lavatoio pubblico da gran parte dei cittadini scordiensi.
Appena di qualche settimana fa è la scoperta, favorita da un incendio scoppiato nella zona, di una serie di tombe arcaiche e preistoriche nell’area dell’ occhio del drago. L’archeologia ufficiale, sinora, ha riferito il sito al periodo bizantino-altomedievale ma, alla luce delle nuove acquisizioni, occorrerà spostare indietro la datazione di qualche millennio, almeno sino all’Età del Bronzo.
Ci affidiamo ad un auspicabile tempestivo esito dell’indagine archeologica per saperne di più.
Procedendo verso la parte più bassa dello sperone (interessante e curiosa è l’osservazione della zona dall’altro, che restituisce le sembianze della parte superiore di un enorme rospo), s’incontra una struttura semicircolare di cospicue dimensioni. Difficile stabilire se di origine arcaica o se realizzata in momenti più recenti, con materiali “riciclati” presenti in loco.
Tutt’intorno un articolato sistema di brani calcarei sembra scandire vari spazi, a volte in modo non organizzato per cui ancora una volta sospendiamo il giudizio in attesa di dati pregnanti.
Ritornando verso le aree più elevate, scorgiamo diversi tratti di basse mura a secco, che delimitano superfici offerenti un più comodo camminamento. Ovunque fori nella roccia, sia di origine erosiva che artificiale.
La somma di queste osservazioni ci porta ad immaginare (e non possiamo fare diversamente, in attesa delle sentenze archeologiche) l’ipotetica fioritura di uno o più villaggi preistorici, anche di una certa rilevanza, che controllavano gran parte del corso del torrente Cava e del suo affluente; la cui continuità, però, dovette essere messa a dura prova, almeno in qualche occasione.
Ovunque ed in modo evidente appaiono, infatti, i segni di violente devastazioni.
Caverne smembrate le cui volte giacciono sui pendii, numerosi lastroni calcarei che sembrano accalcarsi sino al fondovalle, tracce di frane e smottamenti del terreno.
Cosa può essere accaduto? E quando?
E’ probabile che un cataclisma abbia sconvolto la zona in quanto a perdita d’occhio si possono notare testimonianze di distruzioni che hanno interessato interi e numerosi siti di antica origine.
Forse si saranno verificati uno o più terremoti di forza inaudita, che avranno stravolto l’area col distaccamento in più punti degli stessi costoni calcarei, spezzati da sollecitazioni violentissime, tanto da poter modificare in parte la stessa morfologia della zona.
A meno che la causa della catastrofe non sia …piovuta dall’alto!
In questo caso al fianco di ipotesi assai suggestive ma forse poco probabili (tipo la caduta di un meteorite, del quale si dovrebbe però scoprire “l’orma”), si aprirebbero altri scenari, forse non meno romanzabili ma tristemente più recenti che, al momento, tralasciamo.
Speriamo allora che vengano trovati a breve, e con giusto spirito collaborativo, quegli indizi che possano spiegarci, un giorno, cosa e quando è successo: potremmo scrivere emozionanti pagine di un avvincente ed interessante capitolo della nostra storia.
Nell’attesa un sentito ringraziamento per la gentilezza e la preziosa opera dei volontari del parco, nelle persone di Alessio Gavini, Maria Germanà, Nuccio Gambera, Pippo Li Volti.
GINO CALLERI