Alla scoperta del Museo Etno Antropologico tra storia e tradizione
0Varcate le porte del museo ento-antropologico Mario de Mauro ci si abbandona ad un silenzio assordante. Quiete che trabocca di storia, che racconta vicende di vita polverose tanto antiche quanto moderne. Si entra in una nuova dimensione del tempo, girovagando tra gli scaffali se ne capisce la struttura, per poi tornare “fuori” avendo acquisito la capacità di comprenderla appieno.
Un climax storico ascendente e didattico inebriante. La porta diviene porta del tempo, separando il chi siamo dal chi eravamo, e catapulta il visitatore all’interno di una realtà temporale antecedente. Camminando a ritroso nella linea del tempo si riscopre la nostra cultura antropologica autoctona: si incontra per primo il passato a noi più prossimo quando il Commodore del ‘70 era un pc all’avanguardia. Passato prossimo che ci fa immediatamente approdare allo spazio dedicato alla donna, quella donna educatrice e forte: la regina del focolare. Si prosegue con le botteghe artigianali, l’agricoltura (sezione unica nel mediterraneo per i reperti storici che accoglie). Ricca la più remota unità: cerealicoltura l’allevamento e caccia. Dalla memoria più lontana quella della stadda, aratu, signaturi, sbria e maidda il cerchio storico si ricongiunge alla realtà.
A guidarci in questo itinerario storico didattico a “tu per tu” il fondatore del museo il Prof. Nuccio Gambera.
L’istituzione del museo rappresenta un’inestimabile fonte di memoria storica, quando e come è nato il museo?
L’idea nacque nel lontano 1979. Mi ero inscritto a un concorso a cattedre che si tenne a Roma (nel 1978) andò bene e fui assegnato nel paese dove sono nato e da cui ero assente dal 1961. Nel 1979 entravano in vigore i nuovi programmi della scuola media che io lessi con attenzione perché passavo a quella scuola da un istituto superiore.
Mi aggiornai e capii che quei programmi erano uno stimolo fortissimo per la ricerca e per la creazione di 2 motori fondamentali di supporto all’azione didattica ma di natura civica: la biblioteca ed il Museo Etno-Antropologico.
Fortuna vuole che io vi fossi per la nascita dell’uno e dell’altra. Con la biblioteca si arrivò nel 1982, anno in cui ero rappresentante della mia scuola, nonostante fosse stata deliberata negli anni ’60. Il museo era un’idea già dal 1979, per le numerose difficoltà dapprima questo stazionò in 2 stanze di casa mia. In seguito grazie ad un comitato avanzato di docenti della mia vecchia scuola la Leonardo Da Vinci questo venne trasferito a scuola. La nascita ufficiale del museo è 1 giugno 1993 con sede nel corridoio del piano terra della sede centrale dell’istituto Leonardo Da Vinci in Via Etna 12.
In seguito ho provveduto ad avviare le pratiche per la donazione al comune e nel 1996 il consiglio comunale ha deliberato la nascita del museo accettando la donazione e la relativa convenzione.
Il museo quindi nasce da un’esigenza pedagogica.
Allora, prima dell’omologazione attuale, già l’amico nemico era la televisione che entrava prepotentemente in tutte le case in maniera subliminale. Le tv commerciali erano un pericolo appena percepibile. Il processo di omologazione indetto dalla globalizzazione s’iniziava ad avviare. C’era la falsa idea che la lingua per la comunicazione fosse quella nazionale. Nelle famiglie si avviava un monolinguismo becero, ovvero un italiano di Sicilia, di Scordia, del quartiere della casa. Le corruzioni linguistiche fanno perdere l’italiano passando attraverso la cancellazione dell’identità delle origini. La rivoluzione fu sul piano del metodo, il metodo induttivo predicato dai programmi veniva applicato. Bisognava coinvolgere gli alunni attraverso la visione diretta mettendo in moto tutti i 5 sensi. Il discente era messo di fronte all’oggetto di cui doveva capire la funzione, sviluppando capacità collaterali date spesso per scontate. Così il bambino si abitua a essere protagonista. Sollecitando la sua curiosità s’introduce un bilinguismo che si sta dimenticando: italiano e siciliano ( o parlata scordiota).
Chi era Mario de Mauro, perché intitolare a lui il museo?
Mario de Mauro(1820 – 1875) era tra le menti più fervide e vivace che possa aver avuto Scordia. Un prete anticlericale, garibaldino, discriminato dalla classe dirigente. Fondò la Società Operaia. Scrisse numerose opere tra le quali Notizie storiche su Scordia inferiore nel 1868 e sul Casale 1861. Le sue erano storie scomode che dovevano essere fatte sparire. Ho scritto su questa figura, gli ho fatto le pulci, perché affascinato dalla sua persona. De Mauro, apprezzato presso l’accademia delle scienze di Parigi e di Berlino, era un’intellettuale di ampio respiro che a suo tempo aveva scoperto molti “altarini”. Aspetto che gli valse l’irriconoscenza del paese che non né preserva nemmeno la tomba, meno che mai una via. Ho studiato la sua persona con il metodo dell’ingiustizia compensativa, non tralasciando i suoi difetti: temperamento polemico ma sincero e veritiero.
La sicilia terra di cultura e tradizioni, aperta alle incursioni del turismo nazionale e internazionale, come preserva la sua memoria storica nell’epoca del web 2.0?
Spesso la cultura che si esprime in siciliano si snobba senza conoscerla o la si mistifica senza conoscerla e tradendola, questi sono i due rischi. Per questo è necessario lo studio.
Fortunatamente non abbiamo perso nulla, fin quando c’è la memoria e c’è chi coltiva la memoria nulla è perduto. Il problema è far entrare nella memoria ciò che è di vitale importanza. Un museo etno-antropologico aiuta, è il supporto principale per la salvaguardia della memoria ovvero la nostra indentità. C’è una storia collettiva e c’è una storia ridotta che ci coinvolge in quanto siciliani, scordiensi. La storia individuale va collocata all’interno della storia collettiva. L’utopia è che siamo tutti uguali. La storia collettiva limitata di una collettività di provincia serve a chi ne è portatore ma serve anche alle persone con le quali si interagisce. E’ la diversità che arricchisce non l’uglualita, neologismo per indicare l’omologazione.
Un Archivio Storico datato, quale il reperto più antico?
Questa non è solo una biblioteca ma un archivio storico perché i reperti sono valorizzati come fonti necessarie per basare la ricostruzione storica. I reperti più antichi risalgono al ‘700. Ben pochi sono coloro a conoscenza di ciò, la collettività li stava perdendo senza saperlo. Non sono unici perché ci sono degli archivi fornitissimi della chiesa madre di San Rocco con documenti ancora più antichi. Il più annoso è un libro-manoscritto Libro delle Messe proveniente dalla chiesa del Convento. Il museo preserva una versione sperimentante del passato, chi vuole costruire non può fare non riferimento al passato. Non è detto che chi si occupa del passato non abbia una visione aperta del futuro. Non esiste chi guarda solo al futuro. La scommessa moderna è impostare la didattica in questi termini e sarebbe già una rivoluzione.
Nell’epoca moderna della cultura flash per immagini e spedita come si arriva ai giovani?
Si deve far nascere l’interesse, non partire dall’interesse dei giovani perché questo potrebbe essere mal posto essendo questi in una fase di crescita. L’obiettivo è far sviluppare una curiosità anche pericolosa nei miei confronti perché io devo mettermi all’altezza di poterla soddisfare. So dove condurre i ragazzi essendo nato il museo stesso da un esigenza didattica.
Spesso i più giovani vengono corretti, si dice spesso ai giovanissimi di non parlare in dialetto. La dialettica moderna deve chiudere con il passato autoctono?
Mi piace ricordare quello che diceva Giorgio Piccitto, mio professore di glottologia e ideatore del Vocabolario siciliano (5 volumi pubblicati dal ’77 al 2002). Fin dalla nascita del bambino bisogna coltivare un bilinguismo sano, a lui bisogna parlare in italiano e in dialetto corretti.
Come raccontare le fiabe in siciliano: “ A fata nzinzula” la parola magica non è solo Abra cadabra ma anche “ a si nun fussa ca vaiu di primura c’a mintissa na petra, un chiuovu”. Attraverso l’osservazione dei fenomeni sonori della parlata di Scordia si ha la possibilità di capire meglio la struttura dell’italiano.
Si può insegnare bene l’italiano attraverso lo scurdioto.
Se comunichi in italiano non devi sicilianizzare e viceversa “inzignare” (siciliano) non è “insegnare”(italiano). L’aspetto linguistico è di fondamentale importanza, la parola è Verbum non a caso viene identificata con il divino. Noi siciliani siamo! Per capire da dove veniamo ci dobbiamo occupare di questo prima di altro o contemporaneamente ad altro o anche dopo. Perché noi non siamo sradicati. L’utopia probabilmente esiste. Esiste un luogo in cui si materializza l’impossibile, bisogna essere in grado di graduarlo l’impossibile riducendo la frustrazione che dà la parola stessa.
Oltre ad essere un Archivio Storico ed una biblioteca vi è una massiccia produzione di opere culturali.
Numerose le collane pubblicate dalla nascita dell’ente: “Recuperi”, “Testi e documenti”, “Riletture”, “Spighe”, “Opus”, “Kronos”, “Fiori di Campo”, “Plaquettes”, “Ampelos”, “Plaquettes-Ampelos”. Ad arricchire la già vasta sezione di collane i Cataloghi, Bollettini Aperiodici e Periodici.
L’ultima pubblicazione prima della mia dimissione era sulla Società Operaia. Il 24 Aprile con la nuova amministrazione mi sono reinsediato, ma nonostante per convenzione abbiamo un contributo municipale di 20 milioni delle vecchie lire ho scelto di non avere nulla. Preferiamo andare avanti su base volontariale. Chi ha delle proposte viene messo nelle condizioni di avere la nostra consulenza scientifica ma la pubblicazione è a carico loro.
Il Primo volume dal mio reinsediamento è stato pubblicato a Febbraio Pubblicazione degli Scritti di Padre Fagone editi sul periodico comunale di scordia “Nella Città” tra il 1989 e 1992. Un omaggio per l’anniversario della sua morte con una mia introduzione. Il tutto curato da don Gaetano Sebastiano Tomagra e stato pagato interamente dalla parrocchia di San Giuseppe.
Successivamente è stato pubblicato un omaggio al Signor Antonio Enrico Blanco “Prove di scrittura in dialetto siciliano”.
Paolo Garofalo Bbandita ppi-ll’onùri è nato in collaborazione con la Scuola Giovanni Verga tramite un Pon voluto per imparare l’ortografia scientifica del siciliano. Il libro è il restauro di una canzone di un cantastorie sconosciuto.
“Dal tuo al mio, al nostro” – il titolo richiama il Verga – è un opera di Alissa Sangiorgio. Una ragazzina diversamente abile, autistica, che attraverso la scrittura ha recuperato molte abilità. La sua insegnante, Mariarosa Cristaudo, mi ha comunicato ciò ed è nato questo progetto. Solitamente dei diversamente abili non si traccia la storia, sembrano fermi sempre uguali e invece abbiamo voluto scattare un istantanea sul suo lavoro. Il libro è un rifacimento della sirenetta. Dal tuo al mio, al nostro perché siamo un po’ tutti diversamente abili. Le conclusioni sono di Nino Bellina. L’ultima pubblicazione è di un gruppo di persone che ha raccolto una serie di ingiurie “A nciùria” a Scordia . Abbiamo inoltre in corso di stampa un lavoro sul carnevale di Scordia di Ciccino Scalone rimunnatore che si occupava di poesie popolari recitate nella sfilata dei carretti del carnevale storico. In coda un mio lavoro su Salvatore Mari, un mio ipotetico successore, che c’ha lasciato precocemente e intendo omaggiare nella ricorrenza del primo anniversario.
Speravo di poter riprendere la pubblicazione di Ampelo Scordia, semestrale di altissimo livello con 100 pubblicazioni arrivato al numero 19, ma non ci sono fondi quindi il materiale per la rivista è stato inviato da me ad una rivista di Palermo.
Una delle opere maggiormente importanti che svolgiamo quotidianamente, che coinvolge direttamente Gino Calleri, è la catalogazione fotografica dei reperti museali.
La Catalogazione rappresenta l’inalienabilità, il vincolo. Questo ci permetterà in futuro di corredare l’oggetto in se a quella cultura immateriale che lo circonda (al centro di oggetti, canzoni, indovinelli). Questo ci supporterà nel recupero della nostra identità, che ha una valenza storica sterminata. Per ogni oggetto vi sarà una scheda con varie informazioni (misure, nome in italiano e siciliano) che sarà inviata alla Sovrintendenza per farne patrimonio collettivo.
Il tutto è finalizzato alla realizzare ultima di un vocabolario della parlata di Scordia.
Progetto prossimo è l’espansione della struttura verso nuovi spazi adeguati (per convenzione i locali del museo devono essere scelti con parere favorevole del direttore).
L’edificio quando non era quello che è diventato oggi era l’ideale. A oggi abbiamo 3000 reperti dislocati anche nelle 2 sezioni staccate nelle scuole, il museo è tornato nelle scuole, con 2 aree una nell’istituto comprensivo Giovanni Verga ed il Liceo Scientifico Ettore Majorana.
Per noi la mancanza di spazio è una perdita. L’ipotesi è quella di adibire al museo delle sezioni del Palazzo Modica, un ala di un piano, per fare delle sezioni tematiche di approfondimento che ci permettano di rendere gli spazi più fruibili. Il percorso è in positivo, stiamo andando bene e il Primo Cittadino ci ha dato buone speranze.
Siamo aperti a un dialogo proficuo. Prima eravamo collegati al SIMUV ovvero il sistema museale virtuale, ieri abbiamo aperto le porte a Google per dare la possibilità di fare la visita guidata online.
Ho seminato dal ’79, il raccolto è andato bene e meno bene ma ciò che conta e che il terreno ha prodotto.
Martina Pisasale