Archeologia. Viaggio al Castelluccio.
1Nell’ameno territorio che si estende tra i comuni di Scordia e Militello V.C. è incastonata la preziosa necropoli di contrada Castelluzzo (o Castelluccio), uno dei siti archeologici tra i più interessanti del comprensorio.
Facilmente raggiungibile per mezzo di una comoda carrareccia che si diparte dalla S.P. 28/I, a poche centinaia di metri dal bivio con la S.P. 30, la zone offre un avvincente scenario naturale che abbraccia, in un unico sguardo, le ultime abitazioni di Militello e le ripide pareti della valle del Carcarone, ricche di folta vegetazione e incise in tempi remoti dal fiume omonimo, ormai praticamente in secca, dopo esser stato uno dei principali affluenti del Loddiero.
Sulle irte pareti della valle trionfa la macchia mediterranea, insieme agli ulivi, gli aranci e gli immancabili fichidindia, mentre non sarà difficile imbattersi nel maestoso volteggiare di eleganti rapaci, soprattutto poiane, in cerca di prede.
Procedendo sulla carrareccia si noterà, sulla sinistra, un piccolo costone calcareo sul quale si aprono almeno tre ingressi ben visibili. Una piccola serie di tombe a prospetti monumentali o a falsi pilastri che ci proiettano immediatamente ad epoche antichissime, che spaziano dai primordi dell’Età del Bronzo (III/II° millennio a.C.) all’Età del Ferro (X°-VIII° sec. a.C.).
“Sono tombe con caratteristiche diverse: alcune hanno cella a pianta ellittica e soffitto a volta, altre invece, cella a pianta ellittica o quadrangolare e soffitto piano. Tutte a deposizioni multiple con numerosi oggetti di corredo, alcuni dei quali purtroppo furono portati via al momento della violazione. Si tratta con ogni probabilità di sepolture destinate ai membri di gruppi familiari. Le tombe erano sigillate da grandi portelli di pietra. Il numero ristretto di tombe monumentali potrebbe attestare la presenza di un ristretto numero di individui aventi un particolare ruolo sociale e un certo potere all’interno dell’insediamento. ” Questo è quanto gentilmente ci dice la D.ssa Valentina D’Amico, di Militello, attualmente impegnata nel corso di specializzazione in archeologia.
Una più attenta osservazione, in realtà, fa subito comprendere come altre tombe punteggiano l’area e risultano meno evidenti a causa dell’incuria e della veloce ricopertura operata dalla vegetazione. Deviando, infatti, in direzione ONO, attraversando un reticolo di bassi muretti di terrazzamento, forse testimonianza del riciclaggio di ben più antiche e nobili strutture insediative, aggirando infine le lievi ondulazioni del terreno, si apriranno, improvvisi e scenografici, degli ampi “corridoi” che guideranno ad altri ingressi, stavolta maggiormente dimensionati, per altrettanto più larghi ambienti.
Con tutta probabilità si tratta di rivisitazioni del modello di “tombe a dromos”, ispirate alla civiltà di Thapsos (la piccola penisola Magnisi, sede remota dell’omonima comunità) rivedute e corrette, riferibili ad un primo momento dell’età del ferro e poi riutilizzate in epoche successive.
La spianata di bianco calcare che occupa la parte sommitale dell’area, ricoperta da un raso manto erboso infine, offrirà un comodo camminamento sul quale potranno scorgersi le evanescenti reliquie di remoti insediamenti, adesso messe sempre più in pericolo a causa dell’attuale utilizzo a pascolo.
Ecco dunque un altro luogo in cui l’opera incessante della natura e dell’uomo capace di rispettarla, ha arricchito di mirabili contenuti la contemplazione e la fruizione del paesaggio, messa a repentaglio dalla moderna incuria e dall’indifferenza. Un sito che andrebbe di certo valorizzato e non dimenticato.
Auspichiamo, sempre da questa sede, la nascita di un circuito culturale virtuoso, che dai centri delle nostre cittadine s’irradi a tutte quelle aree circostanti ricche di evidenze storico-naturalistiche, possibili volani, se ben utilizzati, di un futuro rilancio sociale ed economico.
Gino Calleri