Dopo la crisi cosa ci aspetta per il 2014?
0L’arrivo di un nuovo anno porta con sé la speranza che sia sempre migliore di quello appena trascorso. Credo che questa frase fatta valga in misura maggiore da circa 3-4 anni a questa parte. Alla fine di ogni anno si spera sempre che sia veramente l’ultimo della “maledetta crisi”. Ultimo della oramai lunga serie che coincida con la classica “fine del tunnel”. Purtroppo da circa 2 anni il periodo che è venuto dopo quello della crisi non solo non è stato migliore, ma addirittura sempre peggio dei precedenti. La fine del 2013 credo che ci consegni un paese ai limiti, per usare un eufemismo abbiamo raschiato il barile. La parola “crisi” da un po’ di tempo è la parola più inflazionata negli intercalari degli Italiani ed ha assunto quasi una valenza di rassegnazione. Crisi dei consumi che si riflette inevitabilmente anche sul nostro oro Rosso. Tanti anni di crisi mettono a dura prova anche le tante imprese che erano riuscite a ritagliarsi uno spazio nei mercati e avevano consolidato le loro posizioni. A questa circostanza non è sfuggita nemmeno la nostra comunità che ricordiamo, ha visto una delle sue aziende da sempre il fiore all’occhiello, attraversata dalla crisi con risvolti occupazionali. Tutti i politici e la classe dirigente di questo paese solo negli ultimi mesi mettono in evidenza che 5 anni di recessione erodono risparmi, sfiancano qualsiasi sistema economico e toccano drammaticamente anche quella che si definiva la classe media, scivolata verso il basso. Oggi fine 2013, tutti concordi nell’affermare che le politiche dell’austerity imposte dall’UE sono sbagliate. Errate perché attuate in un periodo di recessione economica, forse peggiore anche della grande depressione del ’29. Depressione del ’29 che fu superata con massicce politiche Keynesiane, in sostanza l’opposto di quello che hanno imposto le alte burocrazie Europee, alle quali la classe politica non ha saputo dire di No. Dobbiamo anche richiamare alla memoria che gli anni di crisi (gli ultimi 5) seguono 10 anni non di prosperità, ma di bassa crescita mediamente dell’1 per cento. Come dire la tempesta non è arrivata dopo il sole cocente ma in pieno grigio nuvoloso. Oggi, colpevolmente solo oggi, chi ci ha guidato riconosce che esiste la crisi e che soprattutto l’Europa cosi come costruita, va totalmente rivista. Colpevolmente solo oggi perché giova ricordare cosa ci propinavano negli anni di piena tempesta o anche solo un anno addietro alla fine del 2012, quando sotto il periodo natalizio andava tanto di moda la cosiddetta “Agenda Monti”.
La percezione del malessere e della crisi. Una classe politica distante dai suoi cittadini è una classe dirigente peggiore di quella che “ruba le galline”. Berlusconi alla fine di ottobre 2011 qualche settimana prima che fosse disarcionato da cavallo, a chi gli diceva che il paese stava colando a picco rispondeva che lui la crisi non la vedeva, anzi rilanciava. I ristoranti erano pieni e sempre a suo dire si faceva fatica a prenotare un biglietto aereo perché i voli erano sempre in overbooking. Voglio rilevare che eravamo alla fine del 2011, non dunque nel 2008 quando la crisi era forse difficilmente palpabile a occhio nudo. Quando il 66% degli Italiani (sarebbe più corretto dire degli Europei), arranca e sente la crisi, le conseguenze sono drammatiche anche per la tenuta sociale. Piero Fassino quando Beppe Grillo iniziava a organizzare i primi “vaffa day” e percepiva come non era solo una sparuta minoranza a lagnarsi contro un sistema politico (ma anche economico) che non si reggeva più, il mitico Fassino rispondeva:….. “Ma Grillo si faccia un partito e vediamo quanto prende, si candidi e vediamo quanti voti prende, cosa aspetta”. Alla fine Grillo il partito l’ha fatto veramente e tutti sappiamo com’è finita. Fassino uno dei potenziali rottamati del nuovo corso che tuttavia ha sostenuto il rottamatore. E questa è una delle tante contraddizioni dei miracoli Italiani, la salita sul carro dei vincitori dei potenziali rottamati dalle Alpi alla Sicilia. Lo stesso Presidente della Repubblica, vero protagonista assoluto delle “larghe intese” inaugurate nel novembre 2011, nel maggio 2012 dopo la tornata delle amministrative, ai giornalisti che gli facevano notare come il M5S avesse ottenuto ottimi risultati (segno di malessere e insoddisfazione dello status quo), lui rispondeva che boom non ne vedeva. L’unico boom che conosceva era quello economico degli anni ’60. Già, il problema vero è che quel boom economico rischia di essere consegnato agli annali di storia, cosi come gli ultimi anni rischiano di essere contrassegnati come anni ’60 al contrario.
La crisi economica e le politiche dell’austerity. E’ utile fare memoria come detto, esattamente fino allo scorso anno di questi tempi alla vigilia dello scioglimento delle Camere con Monti Presidente del Consiglio, negli ambienti dell’establishment l’Agenda Monti pareva, essere la bibbia. I diktat dell’Unione Europea sembravano le Sacre scritture. Lo spartito dei compitini a casa continuò per tutto il periodo della campagna elettorale. Per troppo tempo abbiamo assistito a stereotipi di frasi come:…… “Lo chiede l’Europa, lo chiedono i mercati finanziari”. La stragrande maggioranza dei politici Italiani appena un anno fa in piena campagna elettorale sosteneva che chiunque avesse vinto le elezioni avrebbe dovuto proseguire con le politiche chieste dall’Europa e con l’azione di risanamento avviata dal Governo Monti. Lo stesso Bersani Presidente del Consiglio in pectore, probabilmente si è giocato le elezioni perché impegnato a inseguire i mercati e le “agende Monti”, mentre le persone che probabilmente avrebbero dovuto votarlo (potenziali elettori del centrosinistra) i mercati facevano fatica a frequentarli alla fine del mese. Il risultato delle elezioni ha bocciato sonoramente non l’Europa, ma le politiche europeiste adottate in questi anni di crisi. Dopo almeno n° 3 Premi Nobel dell’economia che già nel 2009 criticavano le politiche dell’austerity imposte dalle tecnocrazie, anche la politica come detto sembra finalmente averne preso atto. A distanza di solo un anno nessuno parla dell’Agenda Monti. E’ un continuo rincorrersi nel dire che le politiche Europee dell’austerità sono sbagliate e controproducenti. Se infatti, l’obiettivo di sistemare i conti pubblici è in se lodevole, l’austerità in periodo di recessione tiene veramente in ordine i conti pubblici? Negli ultimi anni a giudicare dall’evidenza empirica dei dati economici, pare proprio di No. Il debito pubblico è salito sia in termini assoluti sia in percentuale (rapporto debito pubblico /PIL), siamo in recessione e la ricchezza prodotta presenta perennemente segno meno. Il mantenimento del parametro del 3% (deficit /PIL) anche con manovre di nuove tasse (essendo in se recessive) hanno prodotto un’ulteriore riduzione del PIL (conseguentemente anche del gettito dello Stato). E che dire del drammatico tasso di disoccupazione che cresce trimestralmente come un bollettino di guerra. Se si sistemassero i conti pubblici, si potrebbero anche chiedere sacrifici ai propri cittadini, ma le politiche di austerità i conti pubblici della stragrande maggioranza dei paesi membri non hanno migliorato. Ad onore del vero un dato fortemente positivo le politiche imposte da Bruxelles hanno prodotto. Lo “spread” è miracolosamente sceso e questo dovrebbe fare riflettere su chi manovra micidiali armi di ricatto delle sovranità nazionali. La “stabilità a prescindere” è buona solo per accontentare i mercati finanziari, ma a quale prezzo di tenuta sociale!
La crisi è arrivata nelle piazze. Se una classe dirigente non si accorge in tempo utile che i propri cittadini si sono ridotti in mutande, anzi come se nulla fosse continua a vivere fuori dalla realtà, comprandosi le mutande verdi a spese dei contribuenti, evidentemente quella classe dirigente ha fallito nel suo compito primario di sapere intercettare il paese reale. E a mio modesto giudizio questo peccato (staccarsi dal paese reale) è anche peggio delle misere ruberie degli ultimi anni che la cronaca ci ha inesorabilmente raccontato. Forconi e forza d’urto, era gennaio 2012, sono passati 2 anni e la crisi è ritornata nelle strade. Le vicende di piazza di queste settimane ci dicono che esiste una crisi di rappresentatività politico-sociale. Parimenti, ci insegnano che ha sempre avuto ragione chi ha visto il M5S (con i suoi limiti), come una valvola di sfogo democratica alla protesta contro il sistema politico ed economico. In quelle piazze viste nell’ultimo mese, c’era rappresentato un po’ tutto, ma erano presenti anche persone che fino a qualche anno fa votavano (e persino si candidavano) per Forza Italia–PdL e per il PD. Buona parte di essi non erano eversivi ieri e non possono essere considerati tali oggi. Sono semplicemente traditi e delusi da quegli stessi partiti che hanno votato in precedenza. Forse più che dei partiti sarebbe corretto parlare di disillusione verso la classe dirigente che quei partiti hanno guidato. Del resto i quasi 9 milioni di elettori del M5S (febbraio 2013) negli anni precedenti non stavano evidentemente sul pianeta Marte. Rispetto al 2008 centrodestra e centrosinistra hanno perso rispettivamente circa 6 e 3 milioni di voti che casualmente fanno pari con l’exploit di Grillo. E questo forse qualcosa dovrà significare.
Che possiamo salvare di questo 2013. A giudizio di molti l’anno trascorso ci ha consegnato un grande Papa. Il nome scelto è stato già una vera novità. Francesco venuto da lontano sembra la novità più positiva, emblema della speranza e del cambiamento anche nell’Istituzione che per tradizione è meno consona ai mutamenti. Prendendo spunto da questo non possiamo che finire queste considerazioni riprendendo da dove avevamo iniziato. L’Augurio che possiamo farci è che il 2014 sia veramente l’anno della fine del tunnel e del cambiamento, quello vero. In caso contrario altro che movimenti populisti antieuropeisti.
Francesco Gherardi