Tre palme e un dovere
0Mi piacerebbe leggere sui giornali di domani che quel paio di balordi che hanno incendiato tre palme in piazza Piersanti Mattarella nella notte tra domenica e lunedì 3 luglio sono stati individuati e arrestati. Meglio, mi piacerebbe se si presentassero spontaneamente dai Carabinieri o alla Polizia Municipale per confessare: siamo stati noi, così per gioco, abbiamo commesso una gravissima stupidaggine, ce ne vergogniamo, e vogliamo riparare sostituendo a spese nostre, o dei nostri genitori, sia le palme che il lampione danneggiato dalle fiamme.
In tanti tireremmo un sospiro di sollievo, sul riscatto ancora possibile di una parte, anche se piccola, di giovani e giovanissimi che rischiano di consumare le proprie energie migliori distruggendo e danneggiando qualsiasi cosa possa dirsi “pubblica”, ma anche se stessi in una spirale non difficile da immaginare. Chi non ricorda la fine dei cestini per i rifiuti colore acciaio distribuiti lungo le vie principali e in alcuni spazi a verde? Finirono nel giro di pochi giorni presi a pedate e accartocciati come lattine di Coca Cola. O la recinzione e i giochi per bambini in piazza Angela Cavalli?
Ho incontrato per caso una conoscente che si è data da fare insieme ad altri residenti per spegnere le fiamme che avvolgevano le tre palme. Aveva l’espressione orgogliosa di chi l’ha fatto senza pensarci, con mezzi improvvisati, perché era giusto, e per salvare il resto delle piante della piazza, tra cui le palme Phoenix scampate perfino al punteruolo rosso. Ma nelle sue parole c’era anche un senso di sconfitta, per la gratuità del gesto, l’insensatezza, la premeditazione, per il degrado dei comportamenti, in generale, che ha trasformato la totalità degli spazi pubblici in pattumiere a cielo aperto: “non manderei i miei figli a giocare qui, in mezzo all’immondizia, alle erbacce, agli escrementi dei cani”, concludeva.
Il sindaco e l’Amministrazione, da qualche giorno insediati, da cittadini e con la responsabilità di oggi vivranno la stessa sensazione di disagio, e staranno riflettendo su come rendere più decorosi e sicuri questi luoghi. Ma non basterà l’azione più energica di un’Amministrazione e delle Forze dell’Ordine, se la comunità tutta non torna a mettere al primo posto l’educazione dei propri figli al rispetto dei beni comuni, ben più importante della griffe sulle scarpe o sulla polo, e del cellulare più sofisticato.
Educare, nella sua etimologia latina è “guidare fuori”, accompagnare la persona a tirare fuori di sé il meglio, ciò che ha di più genuino e positivo.
Questo è un compito che nessuno può delegare agli altri, ma assumere in piccola parte su di sé nella propria cerchia, nella famiglia, sapendo che più delle parole conta l’esempio.
SALVATORE AGNELLO